martedì 9 luglio 2013

Lumen Fidei, Dio non è morto anzi rischiara la città terrena (Cescon)

Dio non è morto anzi rischiara la città terrena

Con il suo linguaggio semplice, l'Enciclica va a incontrare gli interrogativi del dubbioso, del laico, dello stesso credente. Proprio perché si rivolge a tutti senza distinzioni o esclusioni per cultura la lettera apostolica sulla luce della fede cerca di mostrare l'efficacia pratica del credere

Bruno Cescon

Una felice meditazione sulla luce che illumina la vita, è l’Enciclica “Lumen Fidei” dei due Papi. Visto che si avverte sino in fondo la cultura profonda di Ratzinger, il suo dialogo anche critico con i pensatori dell’Occidente, mentre si coglie l’immediatezza dello stile di Papa Francesco. Certo tra i pensatori, se si escludono Agostino, il Tommaso d’Aquino, il Guardini sono citati Nietzsche e Wittgenstein, ma nel sottofondo di alcune espressioni s’intuiscono i nomi di alcuni capisaldi della cultura moderna. Il filosofo della morte di Dio, Nietzsche, per aver decretato che seguire l’illusione della fede significa rinunciare alla verità. E.L.Wittgenstein, che pur da credente, aveva confinato la fede nell’irrazionale, nella mistica, perché le uniche verità possibili, dimostrate sono soltanto quelle della scienza e dei risultati della tecnica. Invece conta anche la memoria, perché ci si rivolge anche a chi ci ha preceduto come sono i martiri, i profeti, gli apostoli, Gesù, i profeti.
Dunque i due Papi entrano nella nostra contemporaneità. Anzi in quella modernità che vedrebbe nella fede addirittura “una verità che si imponga con la violenza”, per cui chiede un passo indietro alle religioni nella vita pubblica, in nome dell’universalismo, della tolleranza, dell’inclusione come vorrebbe J.Habermas. Verità e religione, invece, non sono assolutamente causa di intolleranza e fanatismo, anche se i conflitti non sono mancati.
Vedendo che le religioni non scompaiono, come prevedeva la sociologia, ma rinascono nuove religiosità, almeno nel resto del mondo fuori dell’Europa, ora alcuni sociologi sostengono una sorta di religione fai-da-te, risultante da un assemblaggio di diverse verità, di diversi riti. Le chiamano le religioni individualizzate, personalizzate, costruite su misura di ciascuno. Ricorda, invece, Papa Francesco che la “fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva”, come vorrebbe invece il sociologo tedesco Ulrich Beck.
Certo il linguaggio dell’Enciclica è semplice. Il testo non è infarcito di citazioni a piè di pagina. Scorre velocemente. Va a incontrare gli interrogativi del dubbioso, del laico, dello stesso credente. Proprio perché si rivolge a tutti senza distinzioni o esclusioni per cultura la lettera apostolica sulla luce della fede cerca di mostrare l’efficacia pratica del credere.
Anzitutto perché porta luce nell’esistenza personale. Ma anche nella società. O il bene comune, il bene di tutti, che deve perseguire la politica, ha un fondamento nell’amore di un Padre, oppure lo sviluppo è guidato dall’utile e dalla misura del profitto. Si potrebbe chiosare che l’utilitarismo - di pochi - è proprio il sistema adottato da quel capitalismo finanziario che ha generato la grande crisi attuale. I rapporti sociali, il bene comune vanno ripensati nella chiave dalla “fraternità”. Né si può scindere il credere, la sua luce, dal diritto e dalla giustizia, dalla pace se essa si fonda in un Dio che è Padre e madre. La fede mostra la sua efficacia anche come fondamento della famiglia in quanto legge l’unità di essa come rispecchiamento di un’alleanza più grande, quella di Dio.
Se la fede è efficace nello scorrere dell’esistenza significa ancora di più che non è una illusione.
Dio non solo non è morto ma illumina la città terrena prima ancora di quella celeste.

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