domenica 12 maggio 2013

Il cardinale Amato parla delle canonizzazioni di domenica 12 maggio (Gori)


Il cardinale Amato parla delle canonizzazioni di domenica 12 maggio

I primi santi di Papa Francesco

di Nicola Gori

I numeri della prima canonizzazione di Papa Francesco sono già un piccolo record. Domenica 12 maggio, in piazza San Pietro, in un'unica celebrazione il Pontefice eleva agli onori degli altari ben 802 santi. Di questi, 800 sono martiri, caduti a Otranto durante l'assedio dei turchi nel 1480. Le altre due sono suore fondatrici di congregazioni religiose: Laura Montoya y Upegui -- la prima santa della Colombia che viene canonizzata dal primo Papa latinoamericano della storia -- e la messicana María Guadalupe García Zabala. Ne abbiamo parlato in questa intervista al nostro giornale con il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Cominciamo dai martiri idruntini, la cui vicenda presenta aspetti esemplari sia dal punto di vista storico sia dal punto di vista religioso.

In effetti si tratta di una vicenda per molti aspetti singolare. Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, l'impero ottomano mirava all'espansione nell'Italia meridionale. Per questo, il 28 luglio 1480, una flotta di circa 140 navi con 15.000 uomini apparve al largo della città di Otranto, che allora contava non più di 6.000 abitanti. Il disegno era quello di cominciare dall'estrema punta della penisola salentina per conquistare l'Italia meridionale. In quel momento la difesa della città era sguarnita, perché il presidio aragonese era impegnato militarmente in Toscana. Alla richiesta di resa, gli idruntini rifiutarono decisamente. La città fu bombardata fino al 12 agosto, quando fu conquistata dagli ottomani, che la saccheggiarono e profanarono la cattedrale, uccidendo l'arcivescovo Stefano, i canonici e tutti i sacerdoti e i fedeli che si erano rifugiati in essa.

Che cosa avvenne agli altri abitanti della città scampati all'eccidio?

Il giorno dopo il comandante della flotta Gedik Achmed Pascià, cristiano di origini albanesi convertitosi all'islam, ordinò che tutti gli uomini superstiti -- circa ottocento dai quindici anni in su -- fossero condotti presso l'accampamento turco e costretti a rinnegare la loro fede. Di fronte a questa ingiunzione, la loro riposta fu immediata e decisa. La espresse, a nome di tutti, il laico Antonio Primaldo, un umile artigiano, che disse: «Noi crediamo in Gesù Cristo Figlio di Dio, nel quale siamo salvati. Preferiamo mille volte morire che rinnegarlo e farci musulmani». Fu lui a incoraggiare ognuno a perseverare nella fede. Davanti a questo rifiuto, Gedik Achmed Pascià ordinò l'immediata esecuzione capitale di tutti gli ottocento idruntini. Furono decapitati e il loro corpo successivamente straziato. Per circa un anno i cadaveri giacquero insepolti sul luogo del supplizio, il colle chiamato poi dei martiri, fino a quando non vennero ritrovati nel maggio del 1481 dalle truppe aragonesi tornate per liberare Otranto dagli ottomani. Immediatamente il popolo li considerò martiri della fede e cominciò a venerarli e a invocarli. I resti mortali furono collocati nella vicina chiesa al fonte della Minerva e poi trasferiti in cattedrale. Alcuni di questi corpi furono, per volere di Alfonso d'Aragona, trasportati a Napoli.

È significativo il fatto che sia stato proprio un laico a guidarli e a incoraggiarli.

Quel laico, con la fede dei semplici, senza arzigogoli e senza discettazioni teologiche, arriva dritto al centro della questione, perché la sua affermazione è di una chiarezza e di una semplicità disarmanti: noi crediamo in Gesù Cristo nel quale siamo salvati. Preferiamo mille volte morire che rinnegarlo. Viene in mente la nota espressione del piccolo Domenico Savio: «La morte ma non peccati». Sono le cose semplici che fondano la fede dei cristiani. 
Diceva il cardinale Joseph Ratzinger, quando lavoravo alla Congregazione per la Dottrina della Fede: «Noi siamo qui non tanto per discutere con i teologi, quanto per difendere la fede dei fedeli, la fede semplice dei fedeli, che è anche la nostra». 
Ecco perché a volte abbiamo delle riserve sul lavoro di alcuni teologi, proprio perché invece di difendere la fede contribuiscono a demolirla.

Quale messaggio scaturisce per gli uomini del nostro tempo?

Innanzitutto, bisogna dire che questi 800 martiri hanno salvato l'Italia nella sua identità cattolica e cristiana. 
La vicenda è singolare da un punto di vista storico, perché contribuì ad arrestare l'espansione musulmana in Europa, prima ancora di Lepanto, nel 1571, e prima ancora dell'assedio di Vienna, nel 1683. Da un punto di vista religioso poi, il comportamento di questi 800 uomini è un esempio straordinario di fortezza cristiana, di difesa della propria identità battesimale. Ed è anche un grido di libertà di coscienza, profondamente umiliata dalla negazione dei fondamentali diritti umani. Non si può obbligare a convertirsi. Il cristianesimo ha sempre vissuto in questa libertà.

Questa canonizzazione potrà avere ricadute positive anche sul dialogo tra le religioni?

Io credo di sì, proprio perché riproporrà il valore della libertà di coscienza. Metterà in evidenza che ogni persona umana è libera di professare la propria religione, ma non di imporla.

Sono occorsi più di cinquecento anni per giungere alla loro canonizzazione. Come si spiega?

Questi ottocento uomini furono da subito riconosciuti e venerati come martiri dal popolo, che li riteneva validi intercessori presso Dio. Fin da allora la chiesa di Otranto ha celebrato devotamente la loro memoria annuale, il 14 agosto. Formalmente la prima inchiesta per la loro beatificazione si ebbe nel 1539. Seguirono poi vari processi e decreti, sia per la conferma di culto sia per il riconoscimento del martirio. Dopo la promulgazione del decreto sul miracolo -- la guarigione di suor Francesca Levote da un cancro allo stadio terminale -- e dopo il concistoro dell'11 febbraio scorso, Benedetto XVI fissò, come uno degli ultimi atti del suo pontificato, la data della canonizzazione al 12 maggio 2013.

Cosa può dirci delle due religiose?

Suor Laura Montoya y Upegui, nata in Colombia nel 1874 e morta a Medellín nel 1949, fondò la congregazione religiosa delle Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina da Siena, che ebbe subito uno sviluppo prodigioso, con numerose vocazioni e numerose istituzioni e missioni. Anche per la sua canonizzazione il miracolo riconosciuto riguarda la guarigione da un cancro. Suor Laura lavorò molto per l'evangelizzazione e l'emancipazione degli indigeni. Similmente a Laura Troncatti -- la religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice beatificata il 24 novembre dello scorso anno -- che in Ecuador ha liberato gli indios shuar dai vincoli di un paternalismo esasperato e di dominio, aprendoli alla libertà di coscienza, alla possibilità di sposarsi per amore e non per imposizione dei genitori, e soprattutto alla dignità della vita.

E riguardo alla suora messicana?

Si tratta di madre María Guadalupe García Zabala, confondatrice della congregazione delle Serve di Santa Margherita Maria e dei Poveri. Nata a Zapopan in Messico nel 1878, da giovane si sentì chiamata alla vita religiosa nel servizio degli infermi e dei poveri. Durante il periodo della feroce persecuzione anticattolica (1926-29) fu coraggiosa, insieme alle sue consorelle, sia nel proteggere sacerdoti e laici dalla furia omicida dei rivoluzionari, sia nel curare e assistere i feriti di ogni genere, inclusi gli stessi rivoluzionari, che per questo proteggevano e difendevano le suore e i loro ospedali. Madre Lupita, come veniva affettuosamente chiamata, si spense a Guadalajara in Messico all'età di 85 anni. Attualmente le suore da lei fondate hanno numerose case in Messico, Perú, Stati Uniti d'America, Islanda, Grecia e Italia. Il miracolo per la sua canonizzazione riguarda una guarigione da emorragia cerebrale. Era caritatevole nei confronti dei malati ed è passata indenne attraverso la persecuzione perché aiutava tutti senza discriminazioni ideologiche. Veniva da alcuni lodata, da altri sopportata. Questa maternità nei confronti di chi soffre rappresenta un tipico carisma femminile. Anche se i feriti erano persecutori, li trattava come figli.

In effetti, anni di persecuzioni violente non hanno spento il fervore dei cristiani messicani.

La persecuzione appartiene alle beatitudini evangeliche. È la norma. Dove c'è persecuzione la Chiesa vive; dove non c'è persecuzione la Chiesa rischia di adagiarsi sugli allori o peggio di corrompersi. Molte volte dimentichiamo le beatitudini evangeliche. Ecco perché quando sento troppi battimani all'indirizzo dei cristiani resto un attimo perplesso.

C'è un filo comune che unisce queste canonizzazioni?

Va sottolineato che le due suore sono latinoamericane. Per una manifestazione della divina Provvidenza, saranno canonizzate da Papa Francesco, primo Pontefice latinoamericano. È un ulteriore segno di incoraggiamento alla Chiesa di quel continente, chiamata a eccellere nella testimonianza cristiana e nell'espansione del regno di Dio su tutta la terra. Sono inoltre due donne che hanno avuto nella Chiesa grande libertà di azione apostolica, fondando in varie parti del mondo istituzioni che sono ancora di grande beneficio per tutti, soprattutto per i poveri, gli ammalati, gli emarginati. Ancora una volta i santi si rivelano grandi benefattori dell'umanità. Infine, si tratta di due congregazioni impegnate nella missione non solo della catechesi ma anche dell'evangelizzazione di tutti, cristiani e non cristiani. Dopo il sinodo sull'evangelizzazione e nel pieno svolgimento dell'Anno della fede è importante sottolineare questo aspetto. La santità non è un dono che si tiene per sé; va condiviso con generosa carità. Il bene, infatti, è di per sé diffusivo. Più lo si dona, più si espande e cresce. Ancora una volta i santi si rivelano il vero tesoro della Chiesa.

(©L'Osservatore Romano 12 maggio 2013)

1 commento:

sam ha detto...

Bella intervista, belle le parole del Card. Ratzinger e il fatto che Amato non le dimentichi nel suo lavoro. ce ne fossero....